Montecasale nasce alla sinistra del torrente Afra come struttura di sosta e ricovero lungo l’antica e importante strada che dalla Val Tiberina risale l'alpe della Luna e porta fin nella Marca d'Ancona; oltre a questa piccola locanda sul monte immediatamente prospicente sorgeva una piccola fortificazione, di cui rimangono pochi ruderi.
Dopo il 1187 questo piccolo forte dovette essere abbandonato in seguito a una legge della città di Sansepolcro (fondata nel X secolo) che obbligava i feudatari del contado a spianare i castelli e costruirsi palazzi e torri dentro le mura del borgo.
Restò intatta però l'importanza di Montecasale come punto di transito e sosta per i viandanti, passando la gestione ai monaci dell'abbazia camaldolese del Borgo: di fatto quando viene donato a Francesco dai monaci il luogo si chiamava hospitium de Sancta Maria de Montecasale, e ciò conferma la sua nativa vocazione di locanda.
Quando Francesco si trova a passare di qui vi si erano rifugiati dei lebbrosi, anche a causa della grande abbondanza di acque sorgive, e proprio per questo l'assisiate di fermerà qualche tempo qui e vi lascerà una piccola comunità di frati.
Il santuario di Montecasale sorge su una delle prime colline dell'appennino umbro, prospicienti l'alta valle del Tevere. Il fiume è ancora giovane e modesto di acque.
La primitiva costruzione nacque sui resti dell'antica fortezza militare del vicino castello, "murato", com'è stato brevemente accennato, qualche secolo prima che avesse origine Borgo S. Sepolcro, e chiamato Casale del torrente Afra.
Gli ultimi signori di questo castello furono un certo Umbro, uomo fortissimo, e suo figlio Bofolco, da cui vennero i Bofolci, nobile famiglia biturgense. Fondata la città, devono essere stati tra i primi a scendere per abitarvi, insieme a molti altri nobili di numerosi castelli che punteggiavano la valle di Nocea[1].
Si può fondatamente ritenere che il castello sia stato abbattuto nel 1187, insieme all'attigua fortezza. Sui resti di questa, i frati Camaldolesi ottennero di poter costruire un piccolo eremo ed un ospizio per i pellegrini: di lì, infatti, passava una "via di romei", della quale ancora oggi sono visibili alcuni tratti.
Non è chiara la trasformazione di questo eremo-ospizio in un "piccolo e povero Spedale", avvenuta in poco più d'un ventennio. I Camaldolesi, che avevano in Borgo S. Sepolcro una vasta abbazia, lo cederono volentieri a san Francesco ed ai suoi frati. I documenti attestano solo il passaggio di proprietà, che però si potrebbe meglio definire passaggio di servizio.
Montecasale fu uno dei luoghi prediletti da Francesco, che amava la torrida bellezza delle caverne di pietra nascoste tra i boschi di lecci e di querce, che creavano per lui una solitudine che più facilmente lo elevava a Dio: varie volte salì all'eremo, che conobbe ancora prima della vicina La Verna. Sembra che all'incirca nel 1212/13 l'assisiate abbia predicato nella chiesa abbaziale di San Sepolcro (l'attuale cattedrale) su invito dell'abbate camaldolese, che poi gli donò il luogo di Montecasale che all'epoca non doveva essere un altro che qualche celletta, una cappella, adibiti ad ospitare malati e pellegrini. Della donazione il vescovo Giovanni di Città di Castello redasse la bolla della cessione ufficiale, forse l'anno dopo, nel 1213: da allora Montecasale fu indissolubilmente legato alla storia francescana.
L'occasione della cessione può essere nata così. Fra' Tommaso da Celano scrive: "Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai Saraceni. È il primo viaggio apostolico del santo nel 1213.
Dalla Legenda Perugina (FF 1646)
In un eremitaggio situato sopra Borgo San Sepolcro, venivano di tanto in tanto certi ladroni a domandare del pane. Costoro stavano appiattati nelle folte selve di quella contrada e talora ne uscivano, e si appostavano lungo le strade per derubare i passanti.
Per questo motivo, alcuni frati dell'eremo dicevano: " Non è bene dare l'elemosina a costoro, che sono dei ladroni e fanno tanto male alla gente ". Altri, considerando che i briganti venivano a elemosinare umilmente, sospinti da grave necessità, davano loro qualche volta del pane, sempre esortandoli a cambiar vita e fare penitenza.
Ed ecco giungere in quel romitorio Francesco. I frati gli esposero 11 loro dilemma: dovevano oppure no donare il pane a quei malviventi? Rispose il Santo: " Se farete quello che vi suggerisco, ho fiducia nel Signore che riuscirete a conquistare quelle anime". E seguitò: " Andate, acquistate del buon pane e del buon vino, portate le provviste ai briganti nella selva dove stanno rintanati, e gridate: --Fratelli ladroni, venite da noi! Siamo i frati, e vi portiamo del buon pane e del buon vino--. Quelli accorreranno all'istante. Voi allora stendete una tovaglia per terra, disponete sopra i pani e il vino, e serviteli con rispetto e buon umore. Finito che abbiano di mangiare, proporrete loro le parole del Signore. Chiuderete l'esortazione chiedendo loro per amore di Dio, un primo piacere, e cioè che vi promettano di non percuotere o comunque maltrattare le persone. Giacché, se esigete da loro tutto in una volta, non vi starebbero a sentire. Ma così, toccati dal rispetto e affetto che dimostrate, ve lo prometteranno senz'altro.
E il giorno successivo tornate da loro e, in premio della buona promessa fattavi, aggiungete al pane e al vino delle uova e del cacio; portate ogni cosa ai briganti e serviteli. Dopo il pasto direte:--Perché starvene qui tutto il giorno, a morire di fame e a patire stenti, a ordire tanti danni nelI'intenzione e nel fatto, a causa dei quali rischiate la perdizione dell'anima, se non vi ravvedete? Meglio è servire il Signore, e Lui in questa vita vi provvederà del necessario e alla fine salverà le vostre anime--. E il Signore, nella sua misericordia, ispirerà i ladroni a mutar vita, commossi dal vostro rispetto ed affetto".
Si mossero i frati e fecero ogni cosa come aveva suggerito Francesco. I ladroni, per la misericordia e grazia che Dio fece scendere su di loro, ascoltarono ed eseguirono punto per punto le richieste espresse loro dai frati. Molto più per l'affabilità e l'amicizia dimostrata loro dai frati, cominciarono a portare sulle loro spalle la legna al romitorio. Finalmente, per la bontà di Dio e la cortesia e amicizia dei frati, alcuni di quei briganti entrarono nell'Ordine, altri si convertirono a penitenza, promettendo nelle mani dei frati che d'allora in poi non avrebbero più perpetrato quei mali e sarebbero vissuti con il lavoro delle loro mani.
I frati e altre persone venute a conoscenza dell'accaduto, furono pieni di meraviglia, pensando alla santità di Francesco, che aveva predetto la conversione di uomini così perfidi e iniqui, e vedendoli convertiti al Signore così rapidamente.
A Montecasale avvenne il fatto cosi simpatico e popolare dei cavoli piantati con le radici all’insù. Uno dei protagonisti fu appunto frate Angelo Tarlati, forse all’inizio della sua vita religiosa: il fatto, straordi-nariamente bello e significativo della personalità di Francesco, è cosi narrato da Fra Bartolomeo da Pisa:
"Una volta, due giovani vennero al beato Francesco, pregandolo d essere ricevuti all'Ordine. Il beato Francesco, volendo provare se fossero veramente ubbidienti e preparati a rinnegare la propria volontà, li condusse nell'orto dicendo: Venite, piantiamo dei cavoli, e come vedete fare a me, così a quel modo piantate anche voi. Mentre il beato Francesco, piantando, poneva le radici all’insù verso il cielo, e le foglie sotto terra, e uno di loro fece tutto come il beato Francesco, l'altro non lo imitò, ma disse "Non così, Padre, si piantano i cavoli, ma all’incontrario". E il beato Francesco gli rispose "Figliolo, voglio che tu faccia come me". Ma non volendolo egli fare, perché gli sembrava sbagliato, a lui disse il beato Francesco "Fratello, vedo che sei un gran maestro, vai per la tua via, perché non sei adatto per il mio Ordine". E, accettato il primo giovane, lo respinse".
A Montecasale, nell'orto, si coltiva ancora una pianta di cavolo: non proviene, ovviamente, da quella piantata da san Francesco.
San Francesco deve essere salito a Montecasale svariate volte, quante, con esattezza, non è possibile precisare, ma l'ultima sua sosta avvenne probabilmente nel settembre del 1224, di ritorno dalla Verna dopo aver ricevuto le sacre stimmate. Giunto sulla sommità del monte Casella, da cui si può ancora scorgere la cima della Verna, salutò e benedì, per l'ultima volta, il santo monte, suo Golgotha; discese al castello di Monte Acuto, dove lasciò in dono l'abito al conte Alberto dei Barbolani e quindi, attraversando Anghiari, giunse a Borgo S. Sepolcro. "E innanzi che s'appressassi al castello, le turbe del castello e delle ville gli si feciono incontro, e molti di loro gli andavano innanzi co' rami d'ulivi in mano, gridando forte “Ecco il santo, ecco il santo!” e per divozione e voglia che le genti aveano di toccarlo faceano grande calca e pressa sopra lui. Ma egli andando colla mente elevata e ratta in Dio per contemplazione, quantunque e fusse toccato o tenuto o tirato, a modo che persona insensibile non ne senti niente di cosa che intorno a sé fosse fatta o detta, né eziandio s'avvide che passasse per quello castello né per quella contrada. Onde passato il borgo e tornatesi le turbe a casa loro, giuguendo egli a una casa di lebbrosi di là dal borgo bene uno miglio e tornando in sé, a modo come se venisse dallo altro mondo il celestiale contemplatore domandò il compagno “Quando saremo noi presso al borgo?” (FF 1927)
Francesco era cosi assorto e rapito in Dio che non si era accorto di niente ne della città ne dell’accoglienza della gente. Sempre in groppa all’asinello, quella sera stessa raggiunse il piccolo eremo dove opero un ennesimo prodigio.
"Giugne in quella sera santo Francesco al luogo de frati di Monte Casale, nello quale luogo si era un frate si crudelmente infermo e si orribilmente tormentato della infermità, che 'l suo male parea piuttosto tribolazione e tormento di demonio che infermità naturale, imperò che alcuna volta egli si gittava tutto in terra con tremore grandissimo e con ischiuma alla bocca, or gli si attrappavano tutti li nerbi delle corde del corpo, or si stendeano, or si piegavano or si torceva, or si raggiugneva la collottola con le calcagna, e gittavasi in alto e immantanente ricadea supino. Ed essendo santo Francesco a tavola e udendo da frati di questo frate così miserabilmente infermo e sanza rimedio, ebbegli compassione e prese una fetta di pane ch’egli mangiava e fecevi suso il segno della santissima croce con le sue sante mani istimatizzate e mandolla al frate infermo, il quale come l'ebbe mangiata fu perfettamente guarito e mai più non senti di quella infermità” (FF 1928).
Poi ridiscese verso Città di Castello: di lì a due anni, nel 1226, sarebbe stato abbracciato da sorella morte.
Oltre al fascino naturale della pace, della solitudine e del silenzio, il ricordo della presenza di san Francesco attirò a Montecasale tanti frati desiderosi di preghiera e di meditazione.
Fra i pellegrini illustri ne va ricordato uno, primo fra tutti, ancora oggi famosissimo sant’Antonio da Padova. Non conosciamo la data esatta del suo soggiorno all'eremo, ma sapendo che mori nel 1231, questo potrà essere avvenuto qualche anno prima. Sant’Antonio veniva dalla Verna, la sua debole salute non sopportava la rigidità del clima a quell’altitudine. Si trattenne del tempo al Cerbaiolo quindi raggiunse Montecasale, dove si pensa che abbia compiuto il suo "Sermonario". La piccolissima cella, che ancora oggi si conserva, ci aiuta a ripensarlo curvo sulle pergamene a fermare i fluenti pensieri che gli suggerivano la sua ardente pietà, la sua fine intelligenza e la sua cultura.
Di qualche tempo posteriore è il passaggio di un altra eminente figura san Bonaventura da Bagnoregio. La eccezionalità del fatto è tale che di lui pure si mantiene il ricordo indicando la cella dove dimorò. Un antico quadro, che lo raffigura nell'atto di scrivere la vita di san Francesco, vorrebbe datare questa sua dimora e questa stesura al 1255. Probabilmente la data andrà posticipata di alcuni anni. San Bonaventura fu eletto Generale dell Ordine nel 1257. Tre anni dopo nel 1260 ebbe I’incarico dal Capitolo generale di Narbona di stendere una nuova "vita" su san Francesco. Alla ricerca di notizie e di testimonianze ocuları sarà salito anche a Montecasale. E quasi certo che si sia incontrato con l'ultimo dei tre ladroni a quel tempo ancora vivente.
Qualche anno dopo la visita di s. Bonaventura la storia dell'eremo prende una svolta imprevedibile. I frati minori i figli di san Francesco abbandonano il luogo amato dal santo e vivificato dalla sua presenza e dai suoi miracoli. Ma a quarant’anni dalla sua morte, le esigenze della vita erano notevolmente cambiate. L'Ordine si era ingrandito, vivere come alle origini a molti sembrava impossibile le abitudini erano diverse. Nacque, in sintonia col momento storico, il bisogno di avere un convento in città, che meglio corrispondesse alle necessità dei frati e della loro vita apostolica.
Nel 1258 fu iniziata, in un area donata dal comune del Borgo, fuori le mura, una nuova costruzione, che durò una decina di anni, mentre a Montecasale visse forse fino al 1268 il terzo ladrone convertito da san Francesco: un anno dopo la sua santa morte, secondo un manoscritto di Montecasale, l'eremo fu definitivamente abbandonato.
Ma più che abbandonato sarà meglio dire lasciato. In fatti non restò incustodito, ma fu ben presto abitato da altri francescani. Quali? Uno storico di Borgo S. Sepolcro, il sacerdote F. G. Pignani, nelle sue memorie afferma, non sappiamo con quale fondamento, che Montecasale "fu sempre abitato, dopo la morte del serafico Padre dai PP. Minori che ora si dicono Conventuali. Bartolomeo da Pisa, che scrive quattro secoli prima, dichiara invece che il luogo lasciato dai frati fu preso da certi penitenti del Terzo Ordine. Questa seconda ipotesi è più attendibile ed è fondata su un documento abbastanza probativo. È scritto, in questo documento, datato 13 Giugno 1269, che i frati Stefano e Giovanni si presentarono al Vescovo di Città di Castello, Niccolo e a nome di un terzo frate un certo frate Marco, umilmente e devotamente chiesero di poter dimorare all’eremo di Montecasale per servire in perpetuo all’altissimo Creatore. Ritenendo giusta questa richiesta, il Vescovo diede loro ampia licenza e libera potestà di servire al Signore in detto luogo e di potervi ricevere altri frati sotto l'obbedienza dello stesso Vescovo, con l'obbligo di pagare ogni anno, un simbolico contributo d'una libbra di cera. Anche P Agostino da Stroncone all’anno 1268 nella sua cronaca umbra sembra parlare di questa fraternità di Terziari, quando scrive: “forse questo luogo (Monte casale) dopo la morte delli santi ladroni (1267) fu abbandonato dalli frati e questi che vi sono adesso o sono due romiti o due frati spirituali desiderosi di solitudine". Con questo cambiamento di personale trascorreranno più di due secoli e mezzo, fino al 1531.
In quest'anno infatti la Comunità di Borgo S. Sepolcro offrì l'eremo al nascente Ordine dei Cappuccini. Il loro Vicario Generale, frate Ludovico da Fossombrone, vi mandò subito, come superiore, fra Luigi da Capranica. L'arrivo dei Cappuccini avvenne con qualche difficoltà A Montecasale dimoravano ancora i Terziari Regolari, che per quanto pochi non sembravano molto disposti a venir via. Soprattutto un certo frate Marco Savelli. La Comunità del Borgo dovette insistere. Frate Marco finalmente cedé, ma dietro promessa che gli fosse assegnata, in forma pubblica la provvisione di 15 staia di grano all'anno, per tutta la vita.
L’ultimo Terziario, così se ne andò in pensione con un minimo indispensabile per non morire di fame, in qualche posto solitario, a continuare la sua vita di preghiera e di penitenza. Del resto, la sua modesta comunità che non risulta aver obbedito alla bolla Pastoris officii di Papa Nicolò V, era probabilmente destinata ad esaurirsi. Ironia della sorte fu che il colpo di grazia venisse inferto proprio da quell'autorità civile, a cui si era rivolto frate Gherardo, ottenendone ampi documentati favori.
La stesura degli atti ufficiali di questo trapasso avverrà nell'arco di ben cinque anni le procedure, al solito sono lente. Sta di fatto che con la bolla Exponi vobis di Paolo III del 1537 tutto il complesso eremo chiesa e bosco passa definitivamente in uso ai Cappuccini.
I primi Cappuccini ebbero subito caro Montecasale. Padre Bernardino da Colpetrazzo, storico ufficiale del loro Ordine, scrive che erano ben nove i religiosi che formarono la primitiva comunità.
Testimone del nuovo fervore di vita, questo scrittore racconta episodi e tramanda certe notizie che hanno la forza epica e la delicatezza poetica dei "Fioretti". Scrive, ad esempio, che i frati, ogni mattina, facevano colazione bevendo una ciotola d'acqua della fonte di san Francesco, che aveva sapore di latte. E così era - aggiunge- infatti io ne bevvi per un anno e sempre mi pareva di bere latte. Vita povera, mortificata. Le provviste, quasi esclusivamente di legumi, non dovevano mai superare il fabbisogno di tre o quattro giorni, restrizione molto dura per l’inverno. Il vino si usava con la stessa parsimonia dell’olio. "I nove frati di famiglia avevano una fiasca di vetro, che teneva giusti cinque litri di vino e bastava una settima perché riempivano i boccali di acqua e sopra mettevano un po’ di vino, come chi mette l'olio nell’insalata.
Il miracolo del pane
Un anno, d'inverno proprio mentre era guardiano lo stesso Padre Bernardino da Colpetrazzo "cadde tanta neve e fece tanto freddo che i frati non potevano uscire per la limosina", e quindi finite le poche provviste si trovarono alla fame. Il guardiano, uomo santo, di profonda fede portò i frati a pregare in chiesa, davanti a Gesù Eucaristia. Non erano terminate le loro orazioni che fu udito il suono della campanella della porta. Quando il portinaio apri, si vide dinanzi un venerabile vecchio che porse una tovaglia con 25 pani bianchi e caldissimi. Il portinaio sbalordito, nell’accettare e nel ringraziare pregò il vecchio di entrare in convento perché faceva molto freddo e tirava un forte vento: ma il vecchio disse che non poteva e che prendesse i pani restituendogli la tovaglia.
Avvertito di corsa il guardiano, che era ancora in chiesa, ritornò con lui alla porta, ma non trovarono nessuno. Sulla neve non c'erano orme di piede umano. Da ciò capirono che era un miracolo della Provvidenza, che aveva ascoltato la richiesta fiduciosa dei suoi figli
Altri prodigi
Ma la crudezza dell’inverno ha fatto, più volte, da cornice a eventi straordinari. In un'altra invernata triste, con abbondanza di neve, tale da non poter uscire né aprire le finestre, perché il vento portava la neve dentro, accadde qualcosa di analogo. Era guardiano del convento frate Giacomo da Cetona ed era ospite dell'eremo il padre Provinciale dell'Umbria, frate Eusebio da Ancona. Ritrovandosi la comunità senza pane né altro da mangiare, il guardiano chiamò due frati più robusti e li pregò di andare al Borgo per un po' di elemosina. Prima li portò in refettorio e, per rinvigorirli, gli fece mangiare l'ultimo tozzo di pane che c'era in dispensa. Quando il padre Provinciale s’accorse della cosa, non volle che si esponessero a tanto rischio. Raduno tutti in chiesa e parlò della fiducia nella Provvidenza, e tutti si trattennero in preghiera. Quindi domandò se cerano dei legumi e gli fu risposto di no. Casualmente fu trovato un pugnello di fave. Le cossero ne mangiarono una scodella per uno e tutti furono sazi. Né finì lì. Continuando a turbinare la neve, quella notte, al Borgo, fu udita da più persone, una voce "i poveri frati di Montecasale muoiono di fame!"
La mattina dopo, una quindicina di giovani "ben vestiti, con stivaloni, pappafichi e altri ripari, armati di pale", si misero a tracciare un sentiero perché potessero passarci due muli carichi di vettovaglie. Quando giunsero al castagneto presso l'eremo, frate Angelo, oriundo calabrese, sentendo del rumore, provò ad aprire una finestra per capire cosa fosse, ma non ci riuscì per I impeto del vento. I frati pensarono che qualche viandante invocasse aiuto ed aprendo l'uscio del refettorio, tentarono di uscire, ma sulla piazzetta antistante c'era mezza lancia di neve. Frate Angelo provò tre volte a scavare un varco fino alla fonte, ma il vento subito lo ricopriva. Allora si chiusero dentro. All’improvviso, poco dopo, sentirono bussare alla porta e, aperto, si videro davanti, con meraviglia, i quindici giovani coi muli e le provviste. Fu tale la commozione dei frati che non riuscirono neppure a parlare.
Frati santi
Vedendo le modeste proporzioni dell’eremo, non vien fatto di pensare che tante vicende siano succedute nel lungo arco di ben otto secoli di storia. Invece Montecasale ha qualcosa di leggendario.
Dove ora termina l'ultimo tratto di strada asfaltata, dove si allarga il nuovo piazzale, per secoli la fitta boscaglia intorno alla piccola chiesa, giù fino al Sasso Spicco, fu punteggiata di cellette di frasche, abitate da frati solitari e penitenti.
Montecasale non vanta particolari opere d'arte. È una fortuna, perché così ci è dato accostarci il più possibile all'originale ambiente primitivo. Ma una sua caratteristica, avvertita immediatamente dai visitatori meno superficiali, è un atmosfera di santità eroica testimonianza di un passato glorioso, San Francesco ci ha veramente lasciato il segno.
Lo storico padre Bernardino da Colpetrazzo scrive: “ritrovandomi nel luogo di Montecasale, mi fu imposto dal Padre frate Girolamo da Montefiore ch’io per esser vecchio, dovessi scrivere le vite di quei primi nostri padri e particolarmente ‘astinenza miracoli e visioni che in quel tempo furono haute da quei santi huomini”. E le sue descrizioni corrispondono all’impressione che dà il luogo. Santi uomini, miracoli, visioni. Molti nomi da Padre Antonio Corso a Padre Giuseppe da Ferno. Una lunga serie di figure, monotone nella tagliatura, ma straordinarie per vigore spirituale.
Attraverso i secoli
La nostra epoca, tanto caratterizzata dai continui e profondi cambiamenti non ci aiuta molto a immaginare come tutto, a Montecasale, si sia mantenuto immutato nel tempo. I Cappuccini del 1600 e del 1700 hanno ripetuto, suppergiù le gesta straordinarie dei loro predecessori stesso tenore di vita austerità stesse strutture.
La piccola campana del convento, che scandiva le ore e gli impegni della giornata, ha squillato, per secoli, con la stessa regolarità.
Per trovare qualche notizia degna di un certo rilievo bisogna arrivare alla fine del 1700. La prima è il passaggio dell’eremo dalla comunità dei Cappuccini Umbri a quella dei Cappuccini Toscani. Montecasale politicamente, apparteneva alla Toscana e, nel 1784, il Granduca Pietro Leopoldo volle che i frati che lo abitavano appartenessero al medesimo Stato. Senza difficoltà i Cappuccini Umbri cedettero il santuario ai confratelli Toscani.
Le soppressioni
Un capitolo di storia a parte, molto triste, è rappresentato dalle due soppressioni politiche avvenute nel 1810 e nel 1866. Quella del 1810 fu ordinata da Napoleone Bonaparte Montecasale fu messo all’asta, venduto, e i Cappuccini invitati a sloggiare. Ciò avvenne. Con quanta pena per i frati e con quanto danno per l’eremo è facilmente immaginabile. Per qualche anno, un frate vi restò a custodire il luogo santo, poi fu allontanato e, per un decennio, non rimase nessuno.
I Cappuccini vi ritorneranno, con l'assenso del Governo Toscano, nel 1830. Durante la loro assenza il convento subì tutti i danni dell’abbandono e molti oggetti andarono perduti. Ci fu non poco da fare per riorganizzare la vita e quindi passare ai vari restauri. Altra dolorosa vicenda si avrà con la seconda soppressione del 1866. Nuovo ordine di sfratto, nuove sofferenze con ulteriore dispersione del patrimonio religioso morale, culturale. Vengono inventariate persone e cose. I frati sono cacciati dall’eremo e le cose vengono messe all’asta. Montecasale, ancora una volta, si svuota. Vi può rimanere un solo frate in qualità di casiere. Nel 1872 viene effettuata l’asta pubblica, anche il casiere (che era Padre Bernardino da Gavinana) viene estromesso. Chiuderà tutto, chiesa compresa, e consegnerà le chiavi al Demanio. All'asta pubblica, il santuario e i suoi beni furono acquistati dal nobile fiorentino Giuseppe del Rosso, che nel 1894, ne farà gratuita cessione ai Cappuccini, i quali, però, già da qualche anno vi erano rientrati.